Critica
La pittura di Bernardino Luino è più avvicinabile a un’apparenza di realismo, ma non si tratta che di una impressione esteriore, poiché anche in lui la realtà traballa e poi, a guardare in profondo, sfugge ad una presa diretta, lascia, come unico vero, il senso magico delle cose dello spazio, della luce; con tanta maggiore intensità quanto più gli interni appaiono vuoti e non contengono quei personaggi che a volte li turbano; ma li turbano nel senso di un richiamo al tempo, che fa cader la tensione; mentre il turbamento degli spazi vuoti è un assoluto da cui il tempo è escluso, e la presenza di “qualcosa” ritorna nella sua invisibilità così pregnante e poetica.
Roberto Tassi, 1983.
Tratto da: R. Tassi, Senza titolo, in La Metacosa, catalogo di mostra, Viareggio: Palazzo Paolina, 1983.
(...) il problema del rapporto con gli oggetti, la concentrazione del proprio lavoro sugli oggetti, sentiti come entità con cui non è facile il contatto, è il tema dominante dell’opera di Luino già dal 1976-77 (...)
Rappresentare è un modo di conoscere, di sentire meno lontane cose di cui non si riescono a cogliere ragioni e regole. Così al disordine apparente vengono opposti canoni astratti, un sistema di rappresentazione che per mettere a fuoco l’oggetto del proprio interesse ricorre alla prospettiva, alla simmetria, alla costruzione di griglie di ortogonali. In questo senso l’opera di Luino è fortemente caratterizzata e omogenea: segue una lucida razionalità astratta che sistematicamente cerca di penetrare - collocandoli in un sistema di rappresentazione di cui si conoscono le regole - oggetti che l’uso comune non riesce a rendere soddisfacentemente accessibili.
(...)
L’opera di Luino si colloca in un campo della ricerca artistica caratterizzato da un’intenzione rappresentativa ricca di implicazioni di tipo conoscitivo. Tanto il Quattrocento di Piero della Francesca che il Novecento di Felice Casorati costituiscono, in tal senso, significativi punti di riferimento: infatti, al di là di sostanziali distanze storiche, un denominatore comune è dato da una pratica della pittura intesa come traduzione in immagini di convenzioni rappresentative astratte.
Antonello Negri, 1985.
Tratto da: A. Negri, ‘La realtà, un pretesto per inventare’, in Luino, catalogo di mostra, New York: Gallery Henoch, 1985.
La pittura quotidiana come dannazione e come salvezza. La dannazione di dover ogni mattino rimettersi a progettare un quadro (come dire: mettere al mondo il mondo); la salvezza di riuscire qualche volta a realizzarlo, quel quadro; di riuscire a conciliare sensazioni (accumulate) e sensibilità (immediata) sulla slittante superficie di una pellicola pittorica. Le sensazioni sono forse anche le mie, anche quelle di tutti; l’emozione (spazio, vibrazione, luce) sono soltanto di Bernardino Luino. La storia si azzera (come sempre?) nell’attimo della pittura quotidiana; e quel quadro è soltanto suo, di Bernardino Luino.
Maurizio Fagiolo dell’Arco, 1992.
Tratto da: M. Fagiolo dell’Arco, ‘Dizionarietto delle idee correnti in pittura’, in Bernardino Luino, catalogo di mostra, Milano: Appiani Arte Trentadue, 1992.
Scopriamo allora che la pittura di Luino svolge anche una funzione, per così dire, civile. Essa ci insegna infatti ad osservare più da vicino, con maggiore attenzione e con maggiore affetto, proprio quei luoghi, quelle cose da cui siamo abituati a distogliere lo sguardo, in quanto li percepiamo inannzitutto come emblemi della banalità. Quante volte abbiamo guardato con indifferenza, per non dire con un senso di tedio e oppressione, il corredo di manufatti che costituiscono la scenografia della nostra vita. Un letto sfatto, un pavimento di piastrelle, un tavolino di ferro su una terrazza...: che mai avrebbero da dirci se non restituirci il vuoto in cui si specchia la nostra vita annoiata?
Ebbene, con un gesto altamente civile, Luino, pittore solo in apparenza intimista e disimpegnato, ci insegna a cambiare sguardo, a fare un passo avanti, in prossimità delle cose stesse. Educa a rispettarle nella loro povertà e a cogliere l’anima silente che in esse sempre si nasconde. Invita a immaginare la presenza di quanti prima di noi hanno sfiorato o toccato quelle cose. E così facendo trasforma lo spazio inerte e stanco in un mondo proteso verso un’altra vita.
Giampiero Comolli, 1996.
Tratto da: G. Comolli, ‘In una strana, spaesante luce’, in Dipinti recenti, catalogo di mostra, Piacenza: Galleria Il Cenacolo, 1996.
Vi sono eventi visivi che, nonostante le riconoscibili apparenze, dichiarano invece una sorte di inattesa e sorprendente inaccessibilità. (...)
Qualcosa di simile si verifica osservando i dipinti di Bernardino Luino, facilmente decifrabili a prima vista nella loro apparente leggibilità, portatori in realtà di un insondabile e straniante mistero metafisico. (...)
Si tratta di una riflessione visiva che ha in Proust l’equivalente in letteratura perché concerne la presa di coscienza, la percezione del senso profondo di un tempo che è, nello stesso momento, anche memoria: delle persone, dei luoghi, degli ambienti e delle cose.
Ecco perché anche nei dipinti di Luino il concetto dello spazio e del tempo non ha coordinate scientifiche ma assume invece una sorta di dimensione simbolica, ovviamente metafisica.
Tale concezione, a ben vedere, non si riferisce alla condizione della quotidianità, come potrebbe apparire a una prima occhiata (il letto sfatto, il tavolo da pranzo), ma riguarda con tutta evidenza i segreti processi della vita interiore dell’artista.
Accade allora che i dipinti di Luino, apparentemente ‘inoffensivi’, rivelino a un’occhiata insistita una latente atmosfera di inquietudine (...).
Enzo Di Martino, 1998.
Tratto da: E. Di Martino, ‘Bernardino Luino: la luce del tempo delle cose’, in Bernardino Luino: Dipinti, catalogo di mostra, Milano: Appiani Arte Trentadue, 1998.
Un giorno d’inverno a Milano, con il solito grigiore, in uno studio pieno di misteri, con cortili successivi e il Naviglio accanto: così ricordo il primo incontro con Luino, nel 1991. Un ragazzo dinoccolato, dal nome impegnativo.
C’era lo stesso disordine che avevo imparato a conoscere in tanti altri studi di artisti: in bella vista libri su pittori antichi.
Quello che mi colpì principalmente fu l’assenza di quadri. Saluti e i soliti discorsi di circostanza... E adesso che si ci siamo conosciuti, abbiamo parlato, ci siamo scambiati idee, che cosa vediamo?
E allora, con parca attenzione, il pittore quarantenne cominciò a tirare fuori qualche piccola tela, poi una più grande (o forse due?). Poche cose, tanto che da allora ho sempre pensato che Luino volesse caratterizzarsi come un pittore raro, con poche opere, di scarsa circolazione. La stessa sensazione tornai a provarla quando, in un viaggio interminabile oltre l’EUR, scoprii il suo nuovo studio, al suo ritorno a Roma. La luce dei quadri era cambiata, ma restava la stessa distillata rarità delle opere.
Maurizio Fagiolo dell’Arco, 1999
Tratto da: 2000. Elogio della Bellezza / De Metaphisica, catalogo di mostra, Milano: Appiani Arte Trentadue, 1999.
Ciò che domina è un senso di sospensione, l’attesa di qualcosa d’importante che sembra imminente, ma che non è detto che capiti. Potrebbe sembrare un incubo, una condanna crudele rispetto alle certezze rinascimentali, e invece troviamo modo di compiacerci di questa dolce precarietà esistenziale, ammaliati come siamo dalla poesia, dal sottile piacere consolatorio che ci provocano queste atmosfere “altre”. Luino ci sembra un prestigiatore che abbia coperto con un velo il letto delle nostra stanza o la tavola della cucina, cose a cui non abbiamo mai dato troppa importanza. Davanti ai nostri occhi, quel letto e quella tavola hanno acquistato un nuovo interesse, pur essendo esattamente gli stessi di prima. Hanno acquistato il senso del mistero che si nasconde nella loro presenza, nella meraviglia visiva e concettuale della loro struttura, nell’incerta, ma non smentibile possibilità che portino a significati metafisici ulteriori. Questo è il nostro quia, legato alla fenomenologia di piccole-grandi cose, all’inesauribile stupore del quotidiano, in attesa della rivelazione finale. La poesia è la salvezza del mondo.
Vittorio Sgarbi, 2003.
Tratto da: V. Sgarbi, ‘Bernardino Luino. La luce di Luino’, in Bernardino Luino: La luce di Luino, catalogo di mostra, Milano: Galleria Marieschi, 2003.
(...) Luino appartiene, di fatto, a questa "altra modernità" così importante come quella chiassosa e lirica dei manifesti e delle avanguardie che fanno la Storia - modernità discreta che s'interroga con tenacia sull'opacità degli esseri e il silenzio degli oggetti.
Modernità che vanta come antenato Piero della Francesca, tra gli altri, e riconosce all'inizio del XX secolo maestri in materia come il danese Hammershøi, l'italiano Morandi o l'americano Hopper. Con loro, lo spazio intimo o urbano, gli oggetti e gli ambienti più umili acquisiscono una dimensione enigmatica che nulla in apparenza, nel soggetto o nella composizione, legittima. Luino che giovanissimo s'interessa al lavoro specifico di questi artisti, svilupperà il suo approccio personale all'interno del gruppo Metacosa - termine composto che definisce la metafisica degli oggetti - negli anni 1979-1983, e in seguito, a prescindere, con una spiccata predilezione per alcuni soggetti che riprende incessantemente lungo tutta la sua carriera.
La stanza vuota con le finestre che si affacciano sull'esterno, la camera con il letto, la sedia e gli oggetti, la città americana, il più sovente, con i tetti e le pubblicità murali sono i temi preferiti che Bernardino elabora utilizzando tutti i mezzi della tradizione artistica: olio, acrilico, acquarello, tempera, incisione, disegno per ottenere lo stesso effetto di realtà fissata nella luce o come sottoposta ad una troppo viva trasparenza ottica. Sovraesposto alla luce, il reale oscilla verso una ambigua indeterminazione.
(...)
Comunque, in Bernardino Luino, le false prospettive e le aperture convergono in realtà sullo spazio interno ove la pittura è regina: la superficie apparentemente liscia e ricca di una materia lungamente lavorata con degli effetti leggeri di struttura, come una polvere di colore che smorza i contrasti violenti e dona una strana sensualità a una composizione in apparenza fredda e distante. Risonanza e silenzio, come presenza ed assenza, coabitano. Dall'ambiguità che si crea tra effetto di reale e effetto di pittura si spiega l'impossibilità di provare a ridurre il lavoro di Bernardino Luino all'uno o all'altro: Bernardino coniuga i due per annullare la componente di reale al vuoto prosaico dei luoghi abbandonati e dar loro una pregnanza mnemonica.
Laurence Debecque-Michel, 2016.
Tratto da: Bernardino Luino. La présence par l'absence, catalogo di mostra, Parigi: Sifrein, 2016.